LA NEWSLETTER del MERCOLEDI’

CANTAUTORI: “FU VERA GLORIA?” – Numero 03 – 17 Aprile 2024

1988 Perdere l’amore, di Giampiero Artegiani e Marcello Marrocchi, vince il Festival di Sanremo; la canta Massimo Ranieri, e il brano diventa uno dei più importanti nel suo repertorio: Massimo Ranieri – Perdere l’amore (Sanremo ’88 Serata finale) – live (youtube.com)

1990 E’ la volta di Uomini soli, dell’inossidabile ditta Facchinetti (Roby) e Negrini (Valerio); l’unica partecipazione dei Pooh a Sanremo viene baciata dal successo, e anche in questo caso il brano diventa uno dei più richiesti del Gruppo: POOH UOMINI SOLI SANREMO 1990 cry (youtube.com)

2011 La vittoria arride a Roberto Vecchioni (autore del testo e della musica), con Chiamami ancora amore: https://www.youtube.com/watch?v=2yKEwW4Ivqc

Confrontare i tre pezzi, e le tre vittorie, permette di analizzare alcuni meccanismi tipici della “musica leggera” – come si diceva una volta -, o “pop” … un genere che viene a volte svalutato, perché votato all’intrattenimento, ma che, proprio per questo, finisce per essere una colonna sonora costante della nostra vita (amori, viaggi, eventi famigliari), generalmente più della musica Classica, del Jazz, dell’ Elettronica, delle Colonne Sonore, o della musica Folk / Etnica.

O almeno: per la maggior parte delle persone è così. Suppongo che sarebbe assai difficile farsi accompagnare dal Free Jazz sui temi dell’esistenza, dell’amore e delle trasformazioni nel tempo che passa (è l’argomento dei tre brani di cui sopra, accomunati da un “mood” malinconico e/o riflessivo).

Quindi, ben venga la musica “pop”.

Esiste tuttavia un meccanismo “di pigrizia” favorito da quest’ultima: se il “pop” ci accompagna agevolmente nella nostra esistenza, perché “affaticarsi” con musiche più complesse all’ascolto, e che richiedono la costruzione di competenze? Si può vivere benissimo ignorando, o addirittura non sopportando, “i cori russi, la musica finto rock, la new wave italiana, il free jazz punk inglese, (e) neanche la nera africana” (Centro di gravità permanente, 1981, cantata da Franco Battiato, e composta insieme a Giusto Pio).

Ben detto, con un’elegante e sorridente iperbole, giacché il “free jazz punk inglese”, ovviamente, non esiste.

Ma se invece esistesse? Se esistesse veramente una musica così assurda, cosa ci segnalerebbe? Probabilmente il desiderio di “nobilitare” il “pop”, attraverso un percorso di ricerca originale e inconsueto. E allora possiamo chiederci: il “pop” può essere “nobilitato” (attraverso un percorso di ricerca da parte degli artisti, e il raggiungimento di competenze critiche da parte di ascoltatori e fan), o è fatalmente destinato a rimanere una musica “di intrattenimento”, per quanto cara alle masse?

I fautori di una maggiore “nobilità” si addensano particolarmente dalle parti del rock progressivo (anzi: si intende negare che sia un genere “pop”), del blues elettrico, del reggae, del rap e del cantautorato. E con varie motivazioni, a volte musicali, a volte sociali.

Al rap e al cantautorato viene chiesto di mantenere quel connubio fra “musica e poesia”, che ci proviene addirittura dalla Cultura Classica (ne abbiamo parlato nel numero scorso della Newsletter).

Torniamo alle tre canzoni vincitrici di Sanremo: la terza (Vecchioni), evidentemente appartenente al cantautorato, somiglia peraltro a quella di Ranieri (23 anni dopo!), nei suoni e – come si dice oggi – nel ”mood”: sono entrambe tipicamente “sanremesi” …

… mentre è proprio quella dei Pooh a distaccarsi dalle altre due, per l’arrangiamento elettronico e minimalista.

A questo punto dobbiamo formulare due ipotesi: la prima è che il brano di Ranieri sia a sua volta “cantautorale” (ed è un’ipotesi che può anche reggere, se consideriamo che gli autori: Marrocchi e Artegiani) siano stati, a loro volta, cantautori; la seconda è che il “pop” lo facciano essenzialmente gli arrangiatori, i produttori e i direttori d’orchestra, e che le due canzoni “tipicamente sanremesi” nell’arrangiamento (Ranieri e Vecchioni) prevedano, come fattore puramente inessenziale, che il primo sia un cantante e attore, e il secondo un cantautore.

E a dirla tutta: perché non dovremmo considerare Facchinetti un cantautore (cantante e autore delle musiche), come Lucio Battisti?

Il fatto è che l’essere “cantautore” è stato un cavallo di battaglia dell’industria discografica, e lo è tuttora (meno).

Ciò ha sollecitato, da una parte, nuovi percorsi di ricerca, anche perché negli Anni Sessanta e Settanta se ne sentiva fortemente l’esigenza, per ragioni politiche, sociali e culturali; ma, d’altra parte, ha finito per creare svariate forme di pigrizia intellettuale: veniale è che si attribuiscano a Lucio Battisti le “storie” ideate da Mogol … più serio è il fatto che, “brandendo” i cantautori e il rock come musica generazionale, ci si sia permessi, “pigramente”, di disinteressarsi di altre musiche, obiettivamente più faticose: la Classica innanzitutto, ma anche il Jazz, e altre. (Un cerotto su questa situazione è stato il cosiddetto “progressive”, che intendeva “nobilitare” il rock, in direzione della Classica e del Jazz, e che c’è in parte riuscito.)

Ma a questo punto, lasciamo la parola ai Cantautori stessi, che qualche conato di autocritica l’hanno pur avuto!

Cominciamo con un “classico”, L’Avvelenata, di Francesco Guccini (non a caso: 1976), che, nonostante il tema, tutto sommato privato, ovvero una divergenza artistica con il giovane critico musicale Riccardo Bertoncelli, entusiasma da allora accanite legioni di fan, che si immedesimano in non si sa cosa: Francesco Guccini – 05 – L’ Avvelenata (Live Firenze 1997) (youtube.com).

Più radicali le ragioni di Edoardo Bennato, in Cantautore (non a caso: 1975, edita nel 1976): Edoardo Bennato – Cantautore (Live@RSI) (youtube.com). E in questo link, l’ottima ricostruzione della vicenda, da parte di Renzo Stefanel: Contro i cantautori e gli intellettuali di sinistra: gli anni ’70 di Edoardo Bennato (rockit.it).

Insomma: “Fu vera gloria”? (Usiamo il passato remoto perché, pur essendo il fenomeno tuttora vitale, le radici sono innegabilmente negli Anni Sessanta e Settanta.)

Due Post su Facebook di Gianfranco Domizi, sul tema:

Clicca sui link per leggere i post:

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Il tema torna nei suoi libri:

Il libro Voglia di anni ’70 contiene anche una Gallery di opere in digitale di Marzia Schenetti, che si ripropone qui sotto:

Ulteriori opere in digitale sui Cantautori (più volte esposte), si ripropongono qui sotto:

Il tema, poi, è trattato in modo del tutto personale e ironico anche nel libro 75 Giorni di un’Artista Colf di Marzia Schenetti. Su Amazon: https://amzn.eu/d/hEMVk6x


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