NEWSLETTER 11 – 12 Giugno

“Elettori … champagne!”

Notoriamente, alle Elezioni si finisce per vincere tutti: affinché si ottenga questo gradito effetto, basterà confrontare gli esiti delle ultime con un’elezione del passato che risulti particolarmente conveniente: la più vicina nel tempo, oppure, se fa più comodo, quella più omogenea, per quanto riguarda gli organismi da eleggere.

E dopo la vittoria … “champagne!” (alla Peppino di Capri).

Stavolta, PD, AVS (Verdi-Sinistra) e FDI, avrebbero a disposizione elementi numerici che invitano a festeggiare, mentre i seguaci del M5S, di Renzi e Calenda dovrebbero stare a leccarsi le ferite, in quanto sconfitti. Accreditiamo infine un pareggio (o qualcosa in più) per FORZA ITALIA, e un pareggio (o qualcosa in meno) per la LEGA, nonostante abbia calato il Settebello, ovvero il Generale Vannacci.

E quindi, festeggeranno?

Se invece dei numeri, parliamo di strategia, FDI potrebbe invece cominciare a preoccuparsi delle inquietudini della LEGA, che evidentemente non accetterà di essere il partito meno influente della coalizione di Centrodestra. E, a maggior ragione, dovrebbe preoccuparsi il PD, la cui avanzata ha però “bruciato” ben tre alleati! Per quanto riguarda AVS, sembrerebbe aver ben giocato la sua carta, ovvero Ilaria Salis; ma considerando l’imprevedibilità della “ragazza”, e anche quella del suo ingombrantissimo padre, non escluderei una futura ondata d’antipatie … insomma, Bonelli e Fratoianni hanno astutamente pensato al presente (sopravvivenza e quasi-insperato successo), non curandosi tuttavia dei problemi che si erano già creati con il passato “specchietto”: Soumahoro, e che potranno crearsi, a seguito della mossa politica ed elettorale suddetta.

E quindi: esistono elementi per festeggiare (ci riferiamo sempre a PD, AVS e FDI)? Esisterebbero – complementarmente – elementi per cominciare invece a guardarsi alle proprie spalle, già da domani?

Si dovrebbero comunque minimizzare i tripudi, alla luce dell’imperante astensionismo (che è poi il vero vincitore della consultazione)? Essendo comunque Elezioni Europee, dovremmo essere guidati, nelle reazioni al voto, dagli esiti complessivi, a livello continentale, più che a livello italiano?

Un po’ di tutto questo. O – forse – niente di tutto questo.

L’idea della “grande vittoria” è più tipica del Novecento, quando si pensava, o si sperava, che dalle urne potesse uscire l’inizio di un ciclo memorabile.

Ci sperava soprattutto il PCI, giacché aveva i “militanti” e gli intellettuali più infervorati. (I primi li aveva anche il MSI, ed anche qualche buon intellettuale, peraltro piuttosto silenzioso e silenziato, ma la sopravvivenza e l’ascesa del partito avvenivano in un clima di sospetto politico-sociale, considerando gli elementi di continuità con il Fascismo.

Ma né per il PCI, né, tantomeno, il MSI, riusciranno a innescare un ciclo di vittorie, almeno a livello nazionale, tale da essere ricordato nei decenni. Non a caso, come esempio di trionfo dei primi, vengono citate, più che le Elezioni, la grande e commovente reazione popolare, dopo la morte di Berlinguer.

Guardando all’Europa, se intervistassimo un po’ di 50-60-70-80enni, ricorderebbero forse il Welfare nel Nord Europa, il Portogallo fuoriuscito quasi senza spargimenti di sangue dal regime di Destra (vincendo la tentazione di inaugurare un regime comunista, grazie all’accurata sorveglianza da parte dei socialisti di Mario Soares), l’unificazione delle due Germanie, il “thatcherismo” e il “blairismo” in Inghilterra, il “berlusconismo” in Italia.

Ma poi, le vittorie della Sinistra hanno regolarmente smantellato il modo di governare della Destra, e viceversa.

E’ la Democrazia, bellezza! Nessun ciclo tende a dare un’impronta quasi-definitiva. Nessun governo dura troppo a lungo.

Di questo primo quarto di secolo del Terzo Millennio, ci si ricorderà forse di Orban, o magari del socialista Costa, in Portogallo (ma bisogna essere ben informati sulle vicende internazionali).

E quindi, cosa c’è da festeggiare? Un effimero momento di gloria? Una futura occupazione di posti di potere? Il fatto di avere sconfitto l’avversario? …

… perché sembra sempre più spesso che il fine di danneggiare chi si odia, o chi ci infastidisce, sia oramai soverchiante sul desiderio di costruire qualcosa che resti nel tempo.

Per quanto riguarda i vincitori “veri”, ovvero i non-votanti, li si continua a considerare dei frustrati, dei demotivati, degli autolesionisti, degli ignoranti, degli asociali, non ammettendo neanche per ipotesi che si tratti invece di una risposta politica, forse foriera di cambiamenti, che oggi non possiamo neanche immaginare.

O più semplicemente: anche se la Politica contemporanea non fosse così mediocre (oltre che irrilevante, rispetto all’Economia e alla Finanza), chi vive di politica (con tutto il corredo di odi, rancori e fastidi che ciò finisce per esigere ai “militanti” e all’opinione pubblica), non può neanche sospettare, e meno che mai accettare, l’esistenza di persone che alla Politica preferiscono la Vita.

Forse il Mondo, prima di “cambiarlo”, accogliendo l’invito di Marx, o di altri, bisogna saperselo godere.

Questa linea di ridimensionamento della Politica “ufficiale”, trova un punto di non-ritorno, già in piena epoca illuminista, nel dialogo IL NIPOTE DI RAMEAU, di Denis Diderot, e viene sviluppata nel Novecento, in forma saggistica, in tutta la produzione di Ivan Illich:

1 – Il Nipote di Rameau (Diderot)

2 – La convivialità (Illich)

3 – Esperti di troppo. Il paradosso delle professioni disabilitanti (Illich).

A tale linea, si ispira la produzione saggistica di Gianfranco Domizi:

Gianfranco Domizi: ‘NTO Ideologie politiche e Ideologia fra Novecento e Terzo Millennio, VES Voler Essere Stocaxxo.

Sempre di Gianfranco Domizi Rameau 2.0. Per una critica “etilica” della Politica …

… che può essere interpretato sia come omaggio al libro “capostipite” di Diderot, sia come ricognizione, in positivo, delle ragioni del non-voto.

https://www.goodreads.com/book/show/180973414-rameau-2-0

Per quanto riguarda la produzione artistica di Marzia Schenetti, consigliamo quattro brani.

Il primo (La Gente Normale), intende cogliere l’opportunità di un distacco esistenziale dalla Politica; gli altri tre – al contrario, e quindi “dialetticamente” – rilanciano le ragioni di una politica autenticamente progressista, radicata nella Storia del Movimento Operaio, e che abbia per obiettivi prioritari il lavoro (All’Alba dei Ciclisti), le nuove povertà (Ultime notizie da Piazza CInquecento),  l’Internazionalismo, il Pacifismo e la questione femminile (Jin Jiyan Azadì):





Il brano contiene una citazione di L’Inno del Primo Maggio, chiamato anche Vieni o maggio o Canzone del maggio, un canto anarchico e socialista, scritto da Pietro Gori nel 1982.



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LA NEWSLETTER del Mercoledì – 5 giugno

“Stanche, ma persistenti”

“Stanche, ma persistenti” le polemiche tuttora in essere sul Covid-19, e sulla sua diffusione in Italia. Le “rispolveriamo” con questo numero, che cade in prossimità della riapertura fra regioni del 03 Giugno 2020, dopo quasi tre mesi di lockdown …

… evitando – cioè – i presumibili assembramenti del 25 Aprile, del 01 Maggio e del 02 Giugno.

(I politici non ne parlarono esplicitamente, a nostra memoria, ma ci parve subito chiaro che, essendo quelle festività percepite come un pericolo, la data per ritornare a viaggiare sarebbe stata proprio il 03 Giugno.) Per una ricostruzione della cronologia: La cronologia dell’emergenza Covid in Italia – Sanità – Ansa.it

Si tratta di polemiche stanche, anche perché i temi sono sempre gli stessi:

  • a) l’utilità del lockdown decretato in Italia il 09 Marzo 2020, con effetto a partire dal giorno successivo (notevole, nella memoria collettiva, il frettoloso abbandono di Milano, durante la notte, degli studenti fuorisede del Sud);
  • b) la validità e sicurezza dei vaccini;
  • c) la prescrizione di mascherine;
  • d) l’autorevolezza degli esperti;
  • e) l’enorme giro di denaro che ha accompagnato l’intera vicenda.

E sono comunque persistenti, perché le posizioni hanno avuto modo non solo di cristallizzarsi, ma anche di legarsi a questioni non riconducibili al virus …

… sicché gli “ortodossi” sono ormai soliti inquadrare frettolosamente i “perplessi” nell’ambito di un “negazionismo”, che riguarderebbe, per esempio-principe, anche i cambiamenti climatici; mentre, dal canto loro, i “perplessi”, altrettanto frettolosamente, sono soliti considerare gli “ortodossi” come esemplari tipici della sudditanza nei confronti di politici ed esperti.

Questo “chiacchiericcio” rivela infine la “dote” di saldarsi eccellentemente ad altri “chiacchiericci” contemporanei, contribuendo – quindi – a connotare ulteriormente – se ce ne fosse bisogno – la vacuità dei tempi.

Dice il poeta (Gianfranco Domizi) FESSO CHI LEGGE

In ogni momento qualcuno ci parla
di temi sui quali capisce una sega,
le spara anche grosse senza fare una piega,
sarà promemoria a chi cerca un pretesto.

E' l'una di notte, succede anche adesso:
sfidando figure durature di pirla,
ognuno la sua non s'astiene dal dirla,
se è pieno il vasino saprà dove farla.

Fra sesso e progresso esisterà un nesso?
Affari e pallone ecco a voi Superlega!
Sul crudo di pesce sta bene la birra?
Chi cazza la randa e chi tiene la barra?

Resisterà Pirlo? Ritornerà Sarri?
Diffondono Covid le arachidi al bar?
"Sticazzi" è anche meglio di "Chi se ne frega";
e poi vale sempre: "Se leggi, sei fesso".

C’è, però da segnalare, almeno da parte nostra, anche un po’ di disagio, nel rivedere sui Social noi stessi e gli altri “mascherati”, nelle foto del 2020, e oltre.

Galleria delle Opere in Arte Digitale di Marzia Schenetti. Serie dedicata al Covid-19 nel mondo.

E’ qualcosa che non ha a che vedere con l’utilità (alta, o bassa, o presunta) dei dispositivi in questione (sulla quale – ripetiamo – ognuno può avere legittimamente le proprie idee), ma, sic et simpliciter, con la rappresentazione della realtà: un nuovo genere massificato di foto e di filmati irrompeva nell’immaginario collettivo. E il poeta – sempre Gianfranco Domizi – registrava l’evento nel 2020, in modo scherzoso. (Perché – poi – il supplemento di disagio è più forte oggi che all’epoca, quando c’erano invece impellenti problemi pratici da risolvere: mascherine introvabili, percorsi da certificare, chiusura di scuole, aziende ed uffici, la spesa.)

Quarcuna è nuda con la mascherina
(e a dirla proprio tutta, ce guadagna),
me sveglio solo un po’ dalla cicagna
per dare un’occhiatina ch’è un’ingiuria.

Non vojo litigà pe chi sta prima,
me stiro, poi me gratterò la rogna,
la fantasia sovviene alla bisogna.
La fila sotto ‘r sole … che goduria!

Ve la ricordate la questione del “paziente 0”? Sembra ormai preistoria.

Anche noi dicemmo la nostra, sia in un post, sia, successivamente, in un articolo del quindicinale online LINTELLIGENTE: L’incidente ferroviario del Freccia rossa come detonatore del Covid19 – www.lintelligente.it. E ci sembra un’ipotesi che tiene tuttora!

Oltre il “chiacchiericcio”, oltre le ipotesi sul “paziente 0”, oltre le differenti percezioni e teorie riguardanti le cure, resterà forse la memoria degli aspetti sociali:

  • a) gli anziani morti per Covid, o a cui comunque si dovette negare l’ultimo saluto;
  • b) la dedizione, e a volte anche l’eroismo, del personale medico e paramedico, per il quale – purtroppo – la gratitudine è stata archiviata da tempo;
  • c) l’incongruità dei “balconi”, fra solitudine, speranza e conati di espressività;
  • d) il cambiamento delle abitudini dei giovani (a casa e a scuola) e dei lavoratori (in azienda, e conseguentemente anche a casa);
  • e) il cambiamento di abitudini emotive e sentimentali, famigliari e sessuali.

Noi adoperammo il lockdown per comporre un’opera di Teatro Sociale proprio toccando quegli aspetti e le relative conseguenze relazionali del Covid; un Opera che è rimasta, ad oggi, non rappresentata.

Da una parte – quindi – riuscimmo a restare in contatto fra noi, da due posti reciprocamente distanti oltre 500 km., cercando di dare un senso alla situazione; dall’altra – però – “ci dimenticammo” in seguito di promuovere l’opera, che rimane peraltro una delle nostre migliori.

Ecco: esiste l’opportunità di scoprirla, proprio grazie a questa Newsletter.
Qui sotto alcuni brani dell’Opera:

Devo andare
Noi siamo i vecchiacci
L’abbraccio

Ascolta l’intera playlist dell’Opera “Amore e Dolore ai Tempi del Covid-19

Per questa “non-rappresentazione” incide la consueta pigrizia, unita a un’eccessiva discrezione, nel promuoverci, ma anche l’idea che saremmo comunque andati a riprendere e risollevare dei dolori (seppure a scopo catartico); avevamo, insomma, la percezione per cui, superata l’emergenza, molti avrebbero voluto considerare emotivamente e/o razionalmente archiviata la questione.

Ascolta il monologo finale “Che cosa ci resta”


… … …
Così scrivevamo durante la preparazione dello spettacolo …
… perché questo spettacolo non è SUL COVID … E’ STATO SCRITTO DURANTE IL PRIMO ANNO DI COVID.


La pandemia diventerà endemia? Conviveremo con una specie di influenza un po’ più aggressiva? E quando questo succederà, sarà merito dei vaccini … delle medicine … del Green Pass … dell’organizzazione della sanità sul territorio … delle misure precauzionali prese da noi tutti?
Sarà merito del Governo e dei politici? Sarà merito del GRANDE DIBATTITO DEMOCRATICO che coinvolge l’opinione pubblica sui Social?
SI’ VAX … NO VAX … NI VAX … tanti argomenti per i giornalisti e per i politici … tante, troppe banderuole che sbattono nel vento, in attesa della ventata perfetta. Ognuno ha la sua verità in tasca, e se la tiene.
Io in tasca mi ritrovo qualche monetina, e me la spendo volentieri.
Per favore un cappuccino. Di quelli col cuore, come li sai fare tu.

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LA NEWSLETTER del Mercoledì 29 Maggio

“Che fine ha fatto il Sol dell’Avvenire?”

Ci riferiamo ovviamente alle speranze di giustizia sociale e cambiamento epocale, note come Socialismo e Comunismo: dottrine politiche che hanno largamente improntato l’Ottocento e il Novecento, e che questo Millennio dovrebbe occuparsi forse di rilanciare, forse di dal loro una dignitosa sepoltura.

Anche gli anniversari ci invitano a questo sommario esame, essendo vicini alla data odierna quello di Amedeo Bordiga (nato il 13 Giugno 1889) e quelli di Enrico Berlinguer (nato il 25 Maggio 1922 – morto l’11 Giugno 1984).

Si tratta insomma di idee che vengono da lontano, e che – si sosteneva – sarebbero andate lontano. Forse sì … forse hanno ancora un radioso futuro … ma sta di fatto che (osservando l’Italia) i due nomi compaiono ormai solamente in formazioni ultraminoritarie, avendo la forza egemone della Sinistra preferito infine la più “rassicurante” dizione di Partito Democratico.

E poi, chi sarebbe Bordiga?

Se non lo si sapesse, nulla di strano (e soccorre comunque, come quasi sempre, WIKIPEDIA). Nulla di strano, perché sul dirigente comunista, sconfitto da Togliatti, scese il duplice anatema dell’espulsione (1930) e del silenzio (come per tutti i “perdenti”): un artificio molto in uso nel Partito Comunista, e molto ben funzionante, al punto tale che, quando vedevamo, negli Anni ’70 ed ’80, quei quattro gatti che si ostinavano a diffondere il giornale “Il Programma Comunista” (bordighista), pensavamo che Bordiga fosse morto da decenni.

Del resto, Internet non esisteva, e il dubbio – fra l’anacronistico e il futile – poteva essere sciolto solamente andando in Biblioteca.

Invece, Bordiga era morto da pochissimo (1970), ma la sua influenza si era nel frattempo ridotta a pochi intimi.

Perché? Forse perché le sue tesi erano irrilevanti?

Tutt’altro. Se ripercorriamo la storia del Partito Comunista Italiano (all’inizio Partito Comunista d’Italia: il cambio di nome, apparentemente innocuo, fu gravido di presupposti e conseguenze, che non possiamo qui riassumere), sarebbe facile dedurre che, dal punto di vista culturale, Bordiga, ed anche Trockij, avevano ottime ragioni per avversare Stalin e Togliatti, ed anche per essere critici nei confronti degli esiti della Rivoluzione Sovietica.

(Gramsci rimane un caso a sé stante.)

Ma il PCI, ed anche gli altri Partiti Comunisti, hanno privilegiato, durante tutta la loro storia, non la bontà delle idee, dei progetti e dei programmi, quanto piuttosto la possibilità di attuazione immediata: era pertanto percepita come utile solamente (o quasi) la parola d’ordine chiarissima (e pre-digerita per le masse non scolarizzate), di fare come in Russia.

Tale ricercata e voluta semplicità spiega bene perché il Comunismo abbia finito per soppiantare le correnti della Sinistra più profonde e problematiche (Socialismo e Anarchismo), ed abbia considerato come puri ostacoli le idee “discordanti” di Trockij – assassinato nel 1940 dai sicari di Stalin – e di Bordiga – morto a Formia, come dicevamo, nel 1970 -.

In questi 30 anni si consuma un impoverimento autoritario e conformistico dell’elaborazione comunista, che trova il suo punto più basso nell’appoggio, italiano ed internazionale, all’invasione dell’Ungheria, da parte dell’Unione Sovietica (1956).

Questa storia di autoritarismo e di impoverimento culturale, accompagnata dall’emarginazione delle intelligenze migliori, avrà tuttavia una gloriosa impennata positiva con la Segreteria di Enrico Berlinguer (1972-1984).

(A sinistra, Opera di Marzia Schenetti)

Come e perché avvenne il provvisorio miracolo?

(Provvisorio, perché il PCI si discioglierà nel 1991, grazie anche alla Caduta del Muro di Berlino, 1989, trasformandosi, fra molte e reiterate polemiche, in qualcos’altro, fino all’approdo attuale: Partito Democratico.)

Se guardiamo alle date, ci accorgiamo facilmente che i 12 anni di Berlinguer non possono competere, in quanto a duratura influenza, con i 3-4 decenni di Togliatti (1927-1964, ad eccezione di quattro anni spesi per il Comintern, entro i quali rimase comunque il “gran burattinaio” del Partito).

Ma Berlinguer (e non Togliatti) continua ad essere fonte di ispirazione, nostalgia e rimpianto. E non soltanto perché più recente, e quindi ben-installato nella memoria collettiva dei 60-70-80, spesso gran frequentatori dei Social.

Cosa si rimpiange? La statura del politico ? La statura morale dell’uomo? La costante comunicazione con la gente comune (per quanto sempre austera, ed anche un po’ timida)?

O si rimpiange la forza del PCI? La sua influenza sulla società italiana, in un periodo di grandi trasformazioni, ma anche di grandi tensioni (terrorismo e non solo)?

O si rimpiange addirittura, magari senza accorgersene, la propria stessa giovinezza?

Si rimpiange in sostanza un coacervo di sentimenti ed azioni, per i quali servirebbe l’apporto di storici e studiosi, e non di semplici cronisti, come noi …

… ma che viene brillantemente sintetizzato nel monologo-canzone di Giorgio Gaber e Sandro Luporini: “Qualcuno era comunista” (1991-1992), che è anch’esso sospeso fra energia, malinconia e pensiero:

Non sembra tuttavia che la gente comune vada volentieri oltre la nostalgia e il rimpianto: cosa abbia detto e cosa abbia fatto veramente Berlinguer rimane sconosciuto ai più, e rimane sostanzialmente incompreso, anzi: frainteso il suo massimo contributo strategico e culturale, ovvero la politica del “Compromesso Storico”.

Ma in fondo, perché turbare questo sentimento malinconico e – contemporaneamente – forse un po’ troppo conformistico?

A riflettere su un Comunismo “diverso”, ci ha pensato Nanni Moretti con “Il sol dell’avvenire” (2023). Ma che non valga la pena di affrontare criticamente argomenti oramai passati nel sentimento collettivo, valgono le 7 nomination ai David di Donatello, seguite però da “nessuna statuetta” – sic! -.

Certo, “contro” Nanni c’erano due autentiche corazzate: Paola Cortellesi (6 statuette per “C’è ancora domani”) e Matteo Garrone (7 statuette): film dotati di una grande forza-di-partenza, per i temi prescelti (femminismo prima del femminismo, immigrazione africana via mare).

Sta di fatto che il film di Moretti sviluppa molto bene il tema prescelto (un Comunismo diverso dallo stalinismo e dal togliattismo) …

… con ottimo piglio autoriale, in qualche modo imparentabile all’ 8 ½ felliniano, di 60 anni precedente (forse anche un omaggio a quel genere di Cinema), e con una resa che ci riporta al “migliore Nanni” degli Anni ’70 ed ’80.

“Se avesse vinto Trockij” è solamente un pretesto.

“Se il PCI avesse avuto il coraggio di opporsi all’invasione dell’Ungheria” è invece argomento più serio.

Ma il tema – ripetiamo – non riguarda le possibili, divergenti, interpretazioni del Marxismo, ma la vita delle persone, militanti e non, in quei momenti critici.

Zero statuette. E correlativo divieto di svegliare il can che dorme, ovvero quei “militanti” fuori tempo massimo, che amano cullarsi nella nostalgia e nel rimpianto, invece di cercare attivamente, dentro i fatti del passato, e dentro quelli del presente, nuove motivazioni per prefigurare possibili cambiamenti.

Che fine ha fatto, dunque, il Sol dell’Avvenire?

Abbiamo parlato di rappresentazioni artistiche (Gaber e Moretti) altamente convincenti, ma che ovviamente non surrogano le analisi di storici, filosofi, sociologi, politologi e antropologi.

La materia è immensa.

Per uno sguardo indipendente e profondo, ma comunque intriso di intenzioni divulgative:

Oppure, si può osare il più impervio Augusto del Noce, un “isolato” capace di vertiginose intuizioni e dimostrazioni.

Poi, “si parva licet”, esiste il nostro contributo saggistico … (Su Amazon)

… e soprattutto le rappresentazioni artistiche, che registrano, grazie all’utilizzo di stilemi “pop”, l’importanza di questi temi nell’ambito della vita comune.

Dentro questa impostazione “pop”, non poteva mancare una galleria di personaggi appartenenti alla Storia: Opere in Arte Digitale di Marzia Schenetti – Serie “I Signori della Guerra”.

P.S.: Non prendiamo la “mazzetta” da eBay! E’ che certi testi sono ormai diventati quasi introvabili.

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LA NEWSLETTER del Mercoledì 15 Maggio

“Fra vent’anni sarete tutti notai”

L’idea che il ’68 e il Femminismo siano stati movimenti borghesi non viene quasi mai asserita a chiare lettere. Troppo forte è la voglia di difendere quelle “conquiste”, facendole entrare obbligatoriamente nella memoria collettiva, anziché storicizzarle.
Del resto, la memoria “obbligatoria” è sinergica alle carriere dei custodi della stessa. Per dire: di Mario Capanna si ricordano più i trascorsi in quegli anni, su cui egli stesso si diffonde spesso e volentieri, che i meriti del politico contemporaneo.

(Stesso titolo per una successiva canzone di Roberto Vecchioni.)

Ma il ’68 non è ovviamente una Rivoluzione Socialista-Proletaria, e il Femminismo è la punta dell’iceberg (colta, e anche universitaria) di un’Emancipazione Femminile che ha avuto come ovvie protagoniste le “donne comuni”, che hanno contribuito a “fare l’Italia”, durante e dopo la Guerra, e comunque ben prima del ’68 e del Femminismo.
Movimenti borghesi, quindi, ma che non si vuole vengano storicizzati come tali. Ma se non ci fossero stati “borghesissimi” esponenti politici come Fortuna, Baslini e Pannella, non avremmo neanche avuto quella formidabile “modernizzazione” costituita dalla Legge sul Divorzio.
(Molto più prudente fu l’atteggiamento del PCI, che certamente temeva di non poterlo proporre in modo indolore alla propria base, entro cui erano presenti moltissimi cattolici. E comunque, quando parliamo di “modernizzazione”, non diamo alla parola un significato acriticamente positivo, perché si tratta di una legge di faticosissima applicazione tuttora.)
“Borghesi”, insomma, ma non si dice.
Stoltamente … perché nella fondazione di una Nazione (e l’Italia, dopo la Guerra, andava rifondata pressoché totalmente), ogni classe sociale è chiamata a dare il suo contributo; e la Borghesia è stata storicamente garante di tolleranza, libertà di giudizio, operosità.
“Borghese”, non dovrebbe essere un insulto, nonostante infantilissimi slogan:
“Fascisti!, Borghesi!, ancora pochi mesi!”.
(Generalmente gridato da ragazzi borghesi.)

Il velo su queste contraddizioni venne sollevato, come è noto, dalla ben nota poesia di Pasolini sugli scontri fra Studenti e Polizia, nel ’68, a Valle Giulia, davanti alla Facoltà di Architettura.
Di quegli eventi, conserviamo a malapena il motivo della protesta (che era comunque un meta-motivo: non qualcosa riguardante l’assetto complessivo della Società, ma una risposta allo sgombero poliziesco del giorno prima: 29 Febbraio – 01 Marzo).
Conserviamo invece le parole del poeta, che fungono ancora da monito verso giudizi troppo “facili”:

Avete facce di figli di papà.
Vi odio come odio i vostri papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete pavidi, incerti, disperati
(benissimo!) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati:
prerogative piccolo-borghesi, cari.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti.
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da subtopie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire,
il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.

Il testo, per intero, lo si trova qui.

Per una diversa problematizzazione del testo (che a noi appare comunque chiarissimo), potete leggere qui.

Passano i mesi, e ci trasferiamo a Parigi, durante il ben noto Maggio Francese.
Innumerevoli le ricostruzioni del periodo, a cominciare da WIKIPEDIA, ed enorme l’influsso sulla musica e sulle varie forme artistiche:

Più precisamente, tradotta liberamente da una canzone di Dominique Grange.

Per riprendere il testo della canzone, ne siamo stati tutti “coinvolti”.
Ma chi ha coltivato il pensiero non-conforme di rimanerne il più possibile estraneo, ha bisogno di essere “assolto”? Non aderire al Maggio ’68 (o comunque storicizzarlo … o comunque relativizzarlo … o comunque rilevare che all’ombra di quella stagione si sono costruite tante “facili” carriere politiche, culturali, artistiche e mediatiche, ancora una volta “borghesi”), è dunque un “peccato”?
Tra 20 anni, sarete tutti notai, pare chiosasse Ionesco, osservando da un balcone una delle tante sfilate di studenti parigini.
(Sempre sul pezzo, provocatoriamente.)

Similmente, ma quasi 50 anni dopo, Ivan Cotroneo scriverà:
L’anno più citato del nostro dopoguerra non ha cambiato il paese e le nostre coscienze. La fantasia non è arrivata al potere, ma il potere, in modo davvero fantasioso, si è inventato un nuovo modo per resistere e non lasciare spazio al nuovo. La fantasia fu un alibi. Un alibi per impedire l’ascesa e il consolidamento di una nuova classe dirigente, figlia dei nuovi tempi.

Citato grazie a:

1968, nascono grillismi e populismi. Meritocrazia? No, grazie – ilSole24ORE

Si può arrivare, dunque, a sostenere, che il Sessantotto si sia risolto in “conservazione”, rendendo “omologata” e “conforme” la formidabile propulsione del Dopoguerra, della Ricostruzione e del Boom Economico? Si può sostenere che ci sia stato un innegabile lascito dal punto di vista del Cinema, della Musica e del Costume, ma che a partire da quel lascito tutto si sia infine cristallizzato, rendendolo infine “obbligatorio”?
Ci è stato infine “prescritto” il Sessantotto?
Così Gianfranco Domizi sul quindicinale Lintelligente (articoli poi ripresi e ampliati nei suoi libri, presenti sulla piattaforma Amazon):

No rain – www.lintelligente.it
LA GENERAZIONE ORRIBILE (Parte prima) – www.lintelligente.it
LA GENERAZIONE ORRIBILE (seconda parte) – www.lintelligente.it

Per approfondire:
Sterminata la produzione artistica di quegli anni …
Che cosa si cantava nel “Maggio 68”? – Stone Music
… anche perché favorita dal festival di Woodstock (’69) e dal documentario sull’evento (’70).
Il musical “Hair” era stato già stato rappresentato in teatro (1967; il film uscirà invece nel 1979).
Il film-manifesto del ’68, “Fragole e Sangue”, esce nel 1970.
Scaglionata negli anni è l’influenza di “Jesus Christ Superstar”, perché bisogna tener conto dei tempi modicamente diversi per quanto riguarda discografia, cinema e teatro:
Jesus Christ Superstar, storia della leggendaria opera rock (ondamusicale.it)
Questo il nostro “consuntivo” sulla vicenda:

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LA NEWSLETTER del MERCOLEDI’

NUMERO SPECIALE PER L’ANNIVERSARIO DELLA NASCITA
di DANTE CORNELI: 06 MAG 1900 – 06 MAG 2024

Un uomo che fu impossibile intimorire e piegare

La Newsletter del Mercoledì viene anticipata di due giorni, per farla coincidere con l’anniversario della nascita di Dante Corneli, figura misconosciuta, del Comunismo italiano e internazionale, che abbiamo voluto riportare all’attenzione collettiva, con una pluralità di iniziative, a cui non è arriso nessun successo … segno che del Redivivo Tiburtino è tuttora scomodissimo parlare.

Abbiamo – cioè – tentato di coinvolgere Tivoli (comune di nascita di Dante), Nettuno (dove abbiamo vissuto) e vari comuni dei Monti Lepini (dove abbiamo parimenti vissuto).
Inutilmente.

In un’ideale staffetta “per Dante”, veniamo dopo Federico Bernardini:
”Il Redivivo Tiburtino” Dante Corneli: un Italiano nell’Arcipelago Gulag | lurlodimunch (wordpress.com) …
… e ci siamo affiancati all’Editore Oreste Massari, che ha ristampato molte opere del nostro personaggio.
NOVITÀ EDITORIALI MARZO 2019: DANTE CORNELI (massarieditore.it)

Ci riferiamo ovviamente ai nostri contatti personali, giacché, per quanto “misconosciuto”, “scomodo”, e soprattutto “silenziato”, Corneli ha goduto di numerosi estimatori, ed è stato per esempio ricordato, autorevolmente, da Dario Fertilio – vedi sotto -.
Nonostante ciò, non è stato possibile neanche realizzare il minimo, ovvero una strada a lui dedicata, a Tivoli, oppure anche altrove. Ci hanno provato personaggi assai più importanti di noi, soprattutto nel 2000 (centenario della nascita e decennale della morte), ma, nonostante questi importanti interessamenti, non se n’è fatto nulla.

Ma ricostruiamo l’intera vicenda, anche se in breve.

Dante Corneli nasce a vive a Tivoli dal 1900 al 1922, e lì torna per passare gli ultimi anni di vecchiaia e di morte (1970 – 1990). Metà della sua vita, quindi, la trascorre in Unione Sovietica, dove ha modo di sperimentare, personalmente e fino in fondo, l’illusione e la disillusione rispetto al “mondo nuovo” nato dalla Rivoluzione d’Ottobre.
Nato da una famiglia tiburtina assai modesta, operaio fin da giovanissimo (a 10 anni perde due dita al lavoro), era infatti riparato in URSS (1925), dopo aver ucciso, in circostanze rimaste misteriose, il segretario del fascio di Tivoli (1922), e dopo aver peregrinato alcuni anni in Europa. Gli aspetti salienti della sua vita in URSS e del suo ritorno in Italia possono essere ricostruiti grazie ad un bell’articolo di Federico Bernardini, sul suo blog “L’Urlo di Munch”. (Oggi Federico non c’è più, e lo ringraziamo a maggior ragione per averci fatto conoscere una vicenda così illuminante. Link utile: il secondo fra quelli sopra elencati.)
E’ importante a questo punto promuovere una breve riflessione sull’ultimo periodo della vita di Dante Corneli, in Italia (1970 – 1990), ed in particolare sul fatto che pur essendo state le sue posizioni antistalinistiche obiettivamente propedeutiche al progressivo cambio di rotta del PCI sull’esperienza sovietica, Corneli non sia mai stato considerato, se non da pochi, un gloriosissimo precursore del connubio fra Comunismo e Libertà (oltre che un perseguitato, verso cui dovrebbe essere comunque “obbligatoria” la solidarietà).
Insomma, i vertici del Partito hanno fatto di tutto per “silenziare” la sua preziosa testimonianza, ed oggi, trascorsi oltre trent’anni dalla sua morte, dovremmo chiederci serenamente perché. E dovremmo chiederci inoltre perché Corneli non abbia avuto le meritate attenzioni neanche durante la Segreteria di Enrico Berlinguer (1972 – 1984), che pure si mostrò niente affatto indifferente sul deficit di libertà e democrazia nell’ambito del Comunismo realizzato.
Dal ritorno di Dante, oramai inaspettato in Italia, a Tivoli, nel 1970 (“Il Redivivo Tiburtino” è non a caso il nome del suo libro autobiografico, edito nel 1977 da una piccola casa editrice), fino alla morte, e ancor oggi, sulla sua vicenda è sceso un vero e proprio interdetto parte dei dirigenti del PCI, interrotto solamente da una trasmissione di Enzo Biagi, entro cui furono costretti a confrontarsi con le sue accuse:

Al minuto 4,12
Al minuto 4.15

Ulteriori approfondimenti:

Parte 1
Parte 2
Parte 3

Può essere che sia stato (stoltamente) considerato un “traditore”, più che un “perseguitato” e un “precursore”, essendo la sua vicenda testimonianza inevitabilmente rappresentativa dei limiti di Togliatti e del togliattismo. Ma abbiamo avuto più volte modo di accorgerci che anche ben informati “militanti” della Sinistra addirittura non conoscano né Dante Corneli, né l’odissea dei Comunisti in Russia, perseguitati da Stalin.
Del resto, noi stessi ne abbiamo saputo pochissimo per decenni, e – facciamo ammenda – noi stessi abbiamo finito per conformarci sul “cui prodest?” … a chi interessa rispolverare dei “vecchi” fatti storici? … accorgendoci solo ora, da sessantenni, che, evitando di fare i conti con essi, ci si predispone alla ripetizione di errori similari.
Non si tratta comunque di una chiamata di corresponsabilità verso tutti i dirigenti del PCI e della Sinistra: Corneli torna in Italia soprattutto per interessamento di Umberto Terracini, ed intraprende quasi subito una corrispondenza con Alfonso Leonetti.

Se il silenzio che circonda la vicenda di Dante Corneli poteva apparire vagamente comprensibile in un lontano passato di vendette e ritorsioni, anche internazionali (come a dire: se facciamo qualcosa per lui, Stalin se la prenderà con altri), diventa assordante e veramente inspiegabile alla luce di quei processi di liberazione (Sessantotto, Primavera di Praga), che ben avrebbero potuto consigliare di riannodare irreversibilmente il filo fra Sinistra, Rivoluzione e verità storica.

Una questione tutt’altro che “vecchia”, quindi, ed anzi di stringente attualità. A maggior ragione se consideriamo che Corneli fu particolarmente pugnace nel suo tentativo, peraltro sostanzialmente non riuscito, di rendere testimonianza, ma la sua condizione di Comunista italiano perseguitato da Stalin fu condivisa da molti.

Si consideri, per esempio, la storia struggente di Emilio Guarnaschelli e Nella Masutti, ricordata da Marzia Schenetti in Ritratti di Donne, vol. 2, attraverso un’intervista alla figlia di Nella, Bérénice Manac’h.

Incontro con Ritratti di Donne
Il libro di Bérénice Manac’h, che ricostruisce la complessa e avvincente saga famigliare, entro cui si consuma
la storia di Emilio e di Nella.
Le lettere di Emilio, raccolte da
Nella Masutti.

Due canzoni che abbiamo composto e dedicato a Emilio Guarnaschelli: Pinega, il cui testo è costituito, con minime “libertà” artistiche, da una lettera al fratello Mario, che squadernava temi cruciali e dolorose contraddizioni all’interno del Comunismo italiano e internazionale; Il mio Cane, il cui testo è una poesia scritta da Emilio durante la sua terribile prigionia e custodita preziosamente nel libro “Una piccola pietra”.

Noi, da quando abbiamo conosciuto la vicenda (Dante Corneli era un semplice operaio, e consideriamo importante anche questo aspetto … il Fascismo subito da giovane, la fuga in URSS, il tentativo di collaborare attivamente a quello che gli parve il “mondo nuovo”, le due famiglie in Russia, la ferocia della persecuzione stalinistica), consideriamo “il redivivo tiburtino” una figura fondamentale della Sinistra e del Comunismo, e ci siamo pertanto prefissi, in compagnia di pochi, di riportare seriamente in auge il suo caso e il suo insegnamento.
Per questo motivo, abbiamo anche tentato di rivitalizzare, nell’indifferenza delle Istituzioni, un vecchio progetto di Occhetto, Paolo Mieli, Foa, Mafai e Maitan, fra gli altri: quello di una strada, proprio a Tivoli (ma anche altrove, considerando l’ “eccesso di prudenza” dei politici tiburtini, che li rende – come dire? – “impossibilitati a schierarsi”), intitolata a Dante Corneli. (Vedi sopra: Dario Fertilio.) Senza successo, finora.
Eppure, un bel murale sulla facciata di casa nostra, a Roccagorga, ci starebbe proprio bene!
(Elaborazione virtuale di Marzia Schenetti … un po’ per stimolare, un po’ per scherzo, e un po’ per dimostrare che, in fondo, non vi vorrebbe molto.)
Oltre (si intende) a una via che gli sia finalmente dedicata …

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NEWSLETTER 5 – NUMERO SPECIALE PER IL PRIMO MAGGIO – 01 MAG 2024

La canzone popolare e il I Maggio

Così cantava Ivano Fossati, nell’album “Lindbergh” (1992).

Alzati che si sta alzando la canzone popolare, se c’è qualcosa da dire ancora, se c’è qualcosa da fare. Alzati che si sta alzando la canzone popolare, se c’è qualcosa da dire ancora ce lo dirà, se c’è qualcosa da imparare ancora ce lo dirà.

E in effetti, la canzone popolare, per buona parte del Novecento, ha detto quello che doveva dire (a proposito del Proletariato), e ha anche indicato cosa ci fosse da fare (al Proletariato). OGGI, la canzone popolare si scioglie nel “pop” (“popolare”, ma per diffusione mediatica), e il Proletariato “tradizionale” (operai e contadini), fatica a trovare una rappresentazione credibile.
Neanche – lo vedremo – nella kermesse del I Maggio, nota oramai come “Concertone” (di Piazza San Giovanni, a Roma).

Il Proletariato, OGGI, potrebbe essere rappresentato, entro una più ampia aggregazione, di cui fanno parte anche i Precari e gli Immigrati. Tuttavia, entro questa più ampia aggregazione, solo gli immigrati di seconda generazione trovano una “vera” rappresentazione musicale, attraverso il Rap e la Trap (“vera” non significa automaticamente: “di qualità”). Possiamo dire, al limite, che vengano rappresentate le periferie delle metropoli, ma gli immigrati di seconda generazione sono diventati comunque socialmente e musicalmente egemoni, scalzando di fatto la musica napoletana degli Anni Novanta (Almamegretta e 99 Posse).

E quindi: che fine hanno fatto operai e contadini? Non interessano più? Non sono più “trendy”? (“Qualcuno era comunista perché era talmente affascinato dagli operai che voleva essere uno di loro”, monologava Gaber)? O forse la nostra società finisce per rimuovere ciò che “puzza di povero” (a meno che non sia “pop”)?

“Qualcuno era comunista perché era talmente affascinato dagli operai che voleva essere uno di loro”

Certo, se così fosse, le ragioni di un canto “popolare” (e non semplicemente “pop”) dovrebbero essere riproposte, a maggior ragione! Ma sappiamo che è andata diversamente. Dopo gli Anni 50-60-70, raccontare il “popolo” è diventato meno abituale.

Vale la pena, però, di ricordare come proprio in quegli anni si diffuse l’utopia di accompagnare la tradizione italiana in un processo di rinnovamento, in qualche modo similare a quello del Blues, che era stato dapprima prima rurale, poi urbano, poi discografico (con le “mitiche” 29 tracce, su 78 giri, di Robert Johnson), poi mediatico (Eric Clapton, su tutti), e infine “cult” (con i “Blues Brother”, che in realtà hanno cantato il Soul, che è comunque una delle musiche derivate dal Blues). Dal Blues, deriva ovviamente, con altre contaminazioni, anche e soprattutto il Jazz.

Sicché, la canzone popolare anonima (d’amore, di lavoro, religiosa, di protesta, generalmente dialettale), che aveva trovato dapprima i suoi grandi interpreti (Giovanna Daffini, Maria Carta, Rosa Balistreri, Otello Profazio) e i suoi teorici (Gianni Bosio e Roberto Leydi), trovava finalmente i suoi innovatori (Ivan Della Mea, Nuovo Canzoniere Italiano, Nuova Compagnia di Canto Popolare, Ivan della Mea, Enzo del Re, Canzoniere Internazionale, ‘E Zezi, Tarantolati di Tricarico), salvo poi “sciogliersi”, finita quella stagione, in numerose musiche “di confine”, “contaminate” dalla musica etnica.

Oggi, a parte il Cantautorato (fenomeno dai contorni assai sfrangiati, a cui abbiamo dedicato la scorsa Newsletter), possono essere considerati “pop-ma-popolari” esperimenti come quello di Enzo Avitabile e i Bottari, comunque minoritario, e decisamente inconsueto.

A Giovanna Daffini vengono annualmente dedicate varie iniziative da parte del Comune di Motteggiana (MN), fra cui il Concorso, a cui abbiamo partecipato più volte, e più volte siamo stati premiati (Schenetti-Domizi).

Premio della Critica
Trofeo Giovanna Daffini
Primo Premio Cantastorie in Europa

La nostra canzone “popolare-pop” usa la ballata, il rock, la tradizione operistica e il rap.
Qui, alcuni ulteriori esempi.

Dallo spettacolo “Senza Confini”
Live dalla Spettacolo EVIL

Se volete ascoltare ulteriori brani sul tema del Lavoro, qui la playlist “Senza Confini”.

Il tema del lavoro è stato trattato nei seguenti libri di Marzia Schenetti:

I rapporti fra “pop”, “popolare” e “nazional-popolare” (attraverso Gramsci, Umberto Eco e i protagonisti della televisione italiana) sono al centro della riflessione teorica di Gianfranco Domizi. ‘

Per finire,
Nonostante tutta questa nostra produzione, anche pluri-premiata, non abbiamo mai avuto l’onore di essere invitati al “Concertone” del I Maggio, pur avendo inviato agli Organizzatori le nostre canzoni. “Si tratta – ci siamo detti – di una manifestazione sindacale, entro cui le nostre opere (non solo le nostre, of course), troverebbero una collocazione veramente adeguata”. (E non lo diciamo per un “riconoscimento” alla nostra produzione, ma perché siamo convinti che la “riattualizzazione” della memoria operaia e contadina non
dovrebbe arenarsi agli Anni Settanta, venendo quasi integralmente sostituita dal Pop.)

Abbiamo chiesto. Ebbene, questa è stata la risposta degli Organizzatori (27 Marzo 2017):
Gentile Gianfranco, lei parte da un assunto errato. A differenza di quanto lei dice e scrive, il concerto del Primo Maggio di Roma non è organizzato con i soldi dei lavoratori e anzi, a dire il vero, non utilizza nemmeno un euro dei lavoratori. L’evento è completamente finanziato da Sponsor privati ed i diritti di trasmissione vengono acquistati da RAI. CGIL, CISL e UIL non intervengono con nessun tipo di finanziamento all’organizzazione, ma sono semplicemente i promotori del Concerto. Inoltre la Giuria di Qualità è formata da indiscutibili esperti del settore e tra di loro c’è anche un musicista (si informi meglio).

Da chi dovremmo informarci, se non lo fate né voi, né i giornali, né i Sindacati stessi? E poi – a dirla tutta -: perché gli Organizzatori siete proprio voi? C’è stato un bando? Oppure … (Informateci anche di questo, magari.)
Ma stiamo ai fatti:, al “Concertone”, per ammissione stessa degli Organizzatori, va la musica che accontenta la RAI, gli inserzionisti pubblicitari, i cantanti del momento, e – ovviamente – i discografici (oltre agli Organizzatori stessi). I Sindacati mettono solamente la firma; per ricordare alle masse che esistono: insomma, si autorappresentano, senza interferire in nulla, Fedez compreso … ma infine, per mantenere pulita la reputazione, nella Giuria di Qualità “c’è anche un musicista”.

Mecojoni! Uno! Grazie per avercelo detto, perché è QUESTA l’informazione più importante.

Il “pop” s’è mangiato il “popolare”, anche nelle rassegne “operaie”. Si dovrebbe forse fare qualcosa contro questo stato di cose. Ma cosa? Ce lo dirà “la canzone popolare”, come suggerisce Ivano Fossati?

Beh, questo è il nostro suggerimento!

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LA NEWSLETTER del MERCOLEDI’

QUELLI CHE HANNO FATTO LA STORIA – Numero 04 – 24 Aprile 2024

La Storia viene “fatta” al 99% da grandi masse di gente comune.
Anche quando si tratta di abbattere le dittature, il coraggio quotidiano delle persone, la resistenza disarmata, i gesti di pietà e di accoglienza verso vittime e perseguitati, finiscono per “fare la Storia”, assai più delle azioni che ci vengono storicamente tramandate, spesso funzionali alle carriere politiche.
Perfino l’apatia nei confronti del Potere (che notoriamente vive di “entusiasmi”), svolge un ruolo cruciale per abbattere i sovrani.

Fecero la Storia i professori universitari che rifiutarono il giuramento fascista del 1931, senza poter confidare nella prospettiva di un capovolgimento imminente. Non li si ricorda mai (vedi sotto link). Si fece la Storia, senza “capi che dettassero la linea”, nelle Quattro Giornate di Napoli (vedi sotto link), e a Cefalonia (vedi sotto link). Ma si è parlato poco di entrambe, e a decenni di distanza.

Similmente dimenticati i militari italiani che, dopo l’8 Settembre, si rifiutarono di aiutare nazisti e Repubblica Sociale Italiana, andando incontro a prigionie durissime, o alla morte … in numero esorbitante, addirittura superiore a quello delle vittime della Shoa. Ma nonostante la presenza, nelle loro file. di personaggi che sarebbero in seguito diventati famosi, come Luciano Salce, o come Gianrico Tedeschi, nessun IMI (“Internati Militari Italiani”) otterrà mai un seggio da Senatore a vita.

https://it.wikipedia.org/wiki/Internati_Militari_Italiani

https://it.wikipedia.org/wiki/Pier_Luigi_Bellini_delle_Stelle

https://www.massimofini.it/articoli-recenti/2257-pedro-e-bill-i-miei-partigiani

https://it.wikipedia.org/wiki/Alfredo_Pizzoni

Col ’68 inizia la ridicola pretesa di far contare come “lotte” non le manifestazioni per il mantenimento del posto di lavoro, per il salario e per le pensioni, o anche per il Divorzio e per l’Aborto, ma tafferugli, vendette, brutti articoli scritti su giornali esagitati, permeati dal conformismo dell’epoca.

Oggi, alcuni di questi “lottatori” stanno in Parlamento, a difendere strenuamente il Vitalizio (vedi link sotto).

https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/14/vitalizi-capanna-prendo-5mila-euro-netti-al-mese-non-mi-sento-privilegiato/329788

Una ricostruzione anticonformista del Novecento e della transizione verso il Terzo Millennio, compare nei libri di Gianfranco Domizi, reperibili su Amazon.

Marzia Schenetti ha dedicato due libri alla ricostruzione di biografie “sottotraccia” delle donne, ed è stata la prima in Italia ad occuparsi di donne partigiane … anche se poi questo merito è stato attribuito ad altri, a lei successivi, ma meglio inseriti nei contesti della Memoria “accreditata”, nonché dei Media “che contano”.

Alcune biografie sono diventate canzoni, spesso inserite in spettacoli di Teatro Sociale, in particolare nell’Opera omonima “Ritratti di Donne”.
Si possono ascoltare oltre 30 canzoni dedicate alle Storie delle donne, cliccando qui sotto nella playlist di Ritratti di Donne!

https://www.facebook.com/100000212178044/videos/2981709888512721

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LA NEWSLETTER del MERCOLEDI’

CANTAUTORI: “FU VERA GLORIA?” – Numero 03 – 17 Aprile 2024

1988 Perdere l’amore, di Giampiero Artegiani e Marcello Marrocchi, vince il Festival di Sanremo; la canta Massimo Ranieri, e il brano diventa uno dei più importanti nel suo repertorio: Massimo Ranieri – Perdere l’amore (Sanremo ’88 Serata finale) – live (youtube.com)

1990 E’ la volta di Uomini soli, dell’inossidabile ditta Facchinetti (Roby) e Negrini (Valerio); l’unica partecipazione dei Pooh a Sanremo viene baciata dal successo, e anche in questo caso il brano diventa uno dei più richiesti del Gruppo: POOH UOMINI SOLI SANREMO 1990 cry (youtube.com)

2011 La vittoria arride a Roberto Vecchioni (autore del testo e della musica), con Chiamami ancora amore: https://www.youtube.com/watch?v=2yKEwW4Ivqc

Confrontare i tre pezzi, e le tre vittorie, permette di analizzare alcuni meccanismi tipici della “musica leggera” – come si diceva una volta -, o “pop” … un genere che viene a volte svalutato, perché votato all’intrattenimento, ma che, proprio per questo, finisce per essere una colonna sonora costante della nostra vita (amori, viaggi, eventi famigliari), generalmente più della musica Classica, del Jazz, dell’ Elettronica, delle Colonne Sonore, o della musica Folk / Etnica.

O almeno: per la maggior parte delle persone è così. Suppongo che sarebbe assai difficile farsi accompagnare dal Free Jazz sui temi dell’esistenza, dell’amore e delle trasformazioni nel tempo che passa (è l’argomento dei tre brani di cui sopra, accomunati da un “mood” malinconico e/o riflessivo).

Quindi, ben venga la musica “pop”.

Esiste tuttavia un meccanismo “di pigrizia” favorito da quest’ultima: se il “pop” ci accompagna agevolmente nella nostra esistenza, perché “affaticarsi” con musiche più complesse all’ascolto, e che richiedono la costruzione di competenze? Si può vivere benissimo ignorando, o addirittura non sopportando, “i cori russi, la musica finto rock, la new wave italiana, il free jazz punk inglese, (e) neanche la nera africana” (Centro di gravità permanente, 1981, cantata da Franco Battiato, e composta insieme a Giusto Pio).

Ben detto, con un’elegante e sorridente iperbole, giacché il “free jazz punk inglese”, ovviamente, non esiste.

Ma se invece esistesse? Se esistesse veramente una musica così assurda, cosa ci segnalerebbe? Probabilmente il desiderio di “nobilitare” il “pop”, attraverso un percorso di ricerca originale e inconsueto. E allora possiamo chiederci: il “pop” può essere “nobilitato” (attraverso un percorso di ricerca da parte degli artisti, e il raggiungimento di competenze critiche da parte di ascoltatori e fan), o è fatalmente destinato a rimanere una musica “di intrattenimento”, per quanto cara alle masse?

I fautori di una maggiore “nobilità” si addensano particolarmente dalle parti del rock progressivo (anzi: si intende negare che sia un genere “pop”), del blues elettrico, del reggae, del rap e del cantautorato. E con varie motivazioni, a volte musicali, a volte sociali.

Al rap e al cantautorato viene chiesto di mantenere quel connubio fra “musica e poesia”, che ci proviene addirittura dalla Cultura Classica (ne abbiamo parlato nel numero scorso della Newsletter).

Torniamo alle tre canzoni vincitrici di Sanremo: la terza (Vecchioni), evidentemente appartenente al cantautorato, somiglia peraltro a quella di Ranieri (23 anni dopo!), nei suoni e – come si dice oggi – nel ”mood”: sono entrambe tipicamente “sanremesi” …

… mentre è proprio quella dei Pooh a distaccarsi dalle altre due, per l’arrangiamento elettronico e minimalista.

A questo punto dobbiamo formulare due ipotesi: la prima è che il brano di Ranieri sia a sua volta “cantautorale” (ed è un’ipotesi che può anche reggere, se consideriamo che gli autori: Marrocchi e Artegiani) siano stati, a loro volta, cantautori; la seconda è che il “pop” lo facciano essenzialmente gli arrangiatori, i produttori e i direttori d’orchestra, e che le due canzoni “tipicamente sanremesi” nell’arrangiamento (Ranieri e Vecchioni) prevedano, come fattore puramente inessenziale, che il primo sia un cantante e attore, e il secondo un cantautore.

E a dirla tutta: perché non dovremmo considerare Facchinetti un cantautore (cantante e autore delle musiche), come Lucio Battisti?

Il fatto è che l’essere “cantautore” è stato un cavallo di battaglia dell’industria discografica, e lo è tuttora (meno).

Ciò ha sollecitato, da una parte, nuovi percorsi di ricerca, anche perché negli Anni Sessanta e Settanta se ne sentiva fortemente l’esigenza, per ragioni politiche, sociali e culturali; ma, d’altra parte, ha finito per creare svariate forme di pigrizia intellettuale: veniale è che si attribuiscano a Lucio Battisti le “storie” ideate da Mogol … più serio è il fatto che, “brandendo” i cantautori e il rock come musica generazionale, ci si sia permessi, “pigramente”, di disinteressarsi di altre musiche, obiettivamente più faticose: la Classica innanzitutto, ma anche il Jazz, e altre. (Un cerotto su questa situazione è stato il cosiddetto “progressive”, che intendeva “nobilitare” il rock, in direzione della Classica e del Jazz, e che c’è in parte riuscito.)

Ma a questo punto, lasciamo la parola ai Cantautori stessi, che qualche conato di autocritica l’hanno pur avuto!

Cominciamo con un “classico”, L’Avvelenata, di Francesco Guccini (non a caso: 1976), che, nonostante il tema, tutto sommato privato, ovvero una divergenza artistica con il giovane critico musicale Riccardo Bertoncelli, entusiasma da allora accanite legioni di fan, che si immedesimano in non si sa cosa: Francesco Guccini – 05 – L’ Avvelenata (Live Firenze 1997) (youtube.com).

Più radicali le ragioni di Edoardo Bennato, in Cantautore (non a caso: 1975, edita nel 1976): Edoardo Bennato – Cantautore (Live@RSI) (youtube.com). E in questo link, l’ottima ricostruzione della vicenda, da parte di Renzo Stefanel: Contro i cantautori e gli intellettuali di sinistra: gli anni ’70 di Edoardo Bennato (rockit.it).

Insomma: “Fu vera gloria”? (Usiamo il passato remoto perché, pur essendo il fenomeno tuttora vitale, le radici sono innegabilmente negli Anni Sessanta e Settanta.)

Due Post su Facebook di Gianfranco Domizi, sul tema:

Clicca sui link per leggere i post:

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Il tema torna nei suoi libri:

Il libro Voglia di anni ’70 contiene anche una Gallery di opere in digitale di Marzia Schenetti, che si ripropone qui sotto:

Ulteriori opere in digitale sui Cantautori (più volte esposte), si ripropongono qui sotto:

Il tema, poi, è trattato in modo del tutto personale e ironico anche nel libro 75 Giorni di un’Artista Colf di Marzia Schenetti. Su Amazon: https://amzn.eu/d/hEMVk6x

LA NEWSLETTER del MERCOLEDI’

“MUSICA e PAROLE” – Numero 02 – 10 Aprile 2024

Il connubio fra Musica e Parole risale alla Grecia Antica, ed era, in quel contesto storico-artistico, favorito dall’ “obbligatorietà” degli schemi metrici.
Quando domina invece la libertà degli schemi (e dagli schemi), come nella maggior parte della Poesia contemporanea, il connubio finisce per trasformarsi, assumendo spesso la forma dell’ “ac-compagnamento”, non sempre pregevole, e a volte anche troppo melenso.
A meno che la Poesia non abbia un carattere sperimentale, e in questo caso si possono ascoltare pregevoli dialoghi fra poeti (spesso influenzati dalla Beat Generation americana) e musicisti (spesso jazzisti).

Invertendo il viaggio (e parlando pertanto non di Poesia con Musica, ma di Musica con testi dalle evidenti ambizioni poetiche), si pensa quasi necessariamente ai Cantautori. Questi ultimi rappresentarono e rappresentano una soluzione artistica molto popolare e – contemporaneamente – commerciabile, anche quando politicamente, socialmente e culturalmente impegnata … una soluzione artistica – peraltro – costituzionalmente ambigua, giacché classifica, nello stesso insieme, autori di musica e parole, autori del solo testo (Califano) e autori della sola parte musicale (Battisti). Ma tant’è: il termine divenne immediatamente popolare, a prescindere dalla sua ambiguità.

Negli Anni Settanta, incomincia la rivoluzione del “rap”, inizialmente USA, basato sull’uso di musiche sincopate, e – spesso – sull’improvvisazione. Il “rap” conquista il mondo, e partorisce, negli Anni Novanta, come sottogenere, la “trap”, basata su ritmi più semplici e più duri, ma anche più lenti, nonché sulla riscoperta del Vocoder e sull’uso dell’effetto “robotizzato”, detto Auto-Tune … che essendo anche un correttore di intonazione, finisce per rendere la “trap” alla portata di tutti, con frequente similarità reciproca dei brani.

Per quanto riguarda i testi, “rap” e “trap” ricorrono spesso allo “slang”, e questo può renderli poco graditi ai puristi della parola. D’altra parte, lo “slang” è funzionale alla narrazione di storie di violenza e di strada, a volte criticate perché ritenute autoreferenziali, autocompiaciute, e addirittura “diseducative”.

Più vicino allo spirito della Poesia è lo “spoken word” degli Anni Settanta, basato su monologhi poetici e teatrali, sostenuti (più che “accompagnati”) da musiche incisive. Un autore di estremo interesse è stato Gil Scott-Heron, purtroppo non sempre ricordato per i suoi meriti poetici e musicali.

Lo “spoken word” è anche progenitore dei “poetry slam” degli Anni Novanta. Ed è soprattutto allo spirito dello “spoken word”, con qualche incursione nel “rap” (entrambi mescolati con il rock e con la tradizione della musica italiana) che ci siamo ispirati nel nostro Teatro Canzone (Schenetti – Domizi).

Qui di seguito, alcuni nostri brani, che sono stati anche vincitori di premi importanti:

Trofeo Giovanna Daffini 2018
Premio Critica Giovanna Daffini 2017
Premio Poesia Performativa Casa Merini
Dallo Spettacolo di Teatro Canzone “Ritratti di Donne”
Dallo Spettacolo Teatro Canzone “Amore e Dolore ai tempi del Covid-19”
Dallo Spettacolo di Teatro Canzone “Evil. Dalla violenza al cammino per la libertà”

Una curiosità: Rapper’s Delight (1979), della Sugarhill Gang, è considerato il primo rap ufficialmente riconosciuto come tale (giacché il genere girava “sottotraccia” da alcuni anni). Ma Prisencolinensinainciusol, di Adriano Celentano, è del 1972!, ed assai verosimilmente Celentano non aveva, all’epoca, ascoltato nulla che potesse instradarlo verso il rap, ma si era piuttosto ispirato ai “non-sense” talvolta presenti nel rock&roll.

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LA NEWSLETTER del MERCOLEDI’

“STATO DI GRAZIA” – Numero 01 – 03 Aprile 2024

Con il numero odierno, e contando sui favori della Primavera, inizia un appuntamento settimanale con le Arti, e con i temi politici, sociali e culturali ad esse collegati. Abbiamo pensato di dedicare questo Numero 01 alla Poesia, nel suo essere metafora di creatività, bellezza e stato di grazia (delle cose e di ognuno di noi), e nella sua “pretesa” di renderle durevoli nel tempo. Così Robert Frost (1874 – 1963), in “The Rose Family”:

The rose is a rose,
And was always a rose.
But the theory now goes
That the apple’s a rose,
And the pear is, and so’s
The plum, I suppose.
The dear only knows
What will next prove a rose.
You, of course, are a rose –
But were always a rose.

Tuttavia, esiste un equivoco ricorrente, alimentato anche dai Premi e Concorsi di Poesia per emergenti e dilettanti, debba “eternare” il contenuto narrato, più che il suono, o la forma. E così, temi importanti come guerre e immigrazioni diventano addirittura un “genere” -!-, destinato ad accattivarsi giurati ed eventuali lettori, più che a promuovere l’originalità della riflessione poetica.

Contro questa “deriva”, possono essere lette le “sulfurea” denunce, in linguaggio poetico, di Gianfranco Domizi, poeta sicuramente inconsueto (la sua silloge più rappresentativa, tutta centrata sui temi dell’anti-retorica, si chiama “Novanta”, e può essere acquistata su Amazon).

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